L'ispirazione...

UNO SPAZIO CHE CI PERMETTA DI RIMANERE CENTRATI, UN GIARDINO CHE POSSIAMO PROGETTARE COME CI PARE, CIASCUNO IL SUO. Qualcuno metterà solo piante grasse, che richiedono poca cura, altri orchidee che invece richiedono un’annaffiatura giornaliera, qualcun altro piante aromatiche per perdersi nei profumi o fiori di campo, per esaltarsi con i colori. Uno spazio non sempre identico a se stesso, che cambia a seconda delle stagioni, che ci obbliga a progettare, a futurizzare cosa vorremmo “poi”, a curare noi stessi, a non prendere la vita così come viene.
(U. Telfener
http://blog.iodonna.it/umberta-telfener/2013/10/07/coltivare-il-proprio-giardino)

venerdì 30 maggio 2014

Ma chi crede che bisogna sempre parlare?

Dopo le parole arriva il silenzio.

Aprire il proprio cuore, mettere in comune sé con l'altro: così si costruisce, salda e rafforza un rapporto. La conoscenza reciproca di timori e sofferenze, felicità e buoni propositi, attese e aspirazioni alimentano la fiducia reciproca e cancellano il timore che il "non detto" nasconda un'amara verità. Se due persone si parlano, il silenzio non è una minaccia. Diventa invece uno strumento di comprensione ed amore, senza più bussare alla porta della nostra insicurezza. Non si cercano errori e colpe, non si aspettano giustificazioni.


In questo modo i nostri genitori ci amano incondizionatamente e altrettanto riusciamo a fare noi, forse solo da piccoli, quando loro sono il nostro "interlocutore privilegiato", IL NOSTRO ALTRO NOI, a cui raccontiamo ogni scoperta. I nostri genitori hanno seminato nel nostro giardino le prime pianticelle, ci hanno accompagnato a raccogliere l'acqua e scegliere i concimi per farle diventare rigogliose. Da loro abbiamo imparato la semina e la potatura e quando non volevamo tagliare un ramo secco, lo hanno fatto per noi. Continuano ad innaffiare le piante che hanno seminato dal nostro primo giorno di vita e intanto si assicurano che il terreno del nostro giardino sia favorevole allo sbocciare di nuovi fiori, all'attecchire di semi lanciati lì da altri.

Noi siamo il proprietario del giardino ma anche "l'altro" che lancia semi nei giardini altrui.

Per la maggior parte della giornata ci dedichiamo ad altro/i invece che a noi stessi, trascuriamo il nostro giardino e quando lo troviamo spoglio è perché forse ci aspettavamo che qualcuno si curasse di noi come solo i genitori sanno fare. Forse il continuo chiedere agli altri non è altro che manifestazione di una debolezza personale; un bisogno prepotente di non sentirci soli a fare/disfare pezzi della nostra vita. È facile prendere decisioni importanti quando si ha un'altra spalla da responsabilizzare. Saremmo in grado di decidere con altrettanta sicurezza se fossimo gli unici firmatari del contratto di assicurazione con le nostre scelte? Fallire in compagnia è più facile che da soli; vedere negli occhi di qualcun altro il nostro stesso smarrimento forse ci rende più forti?

Giudichiamo egoista chi ha cura di se stesso e si pone prima dell'altro. Se invece di considerarli egoisti pensassimo solo che sono persone capaci di badare a se stesse e cercano, vivono un rapporto non votato alla ricerca di qualcuno che li assista o che li prenda in carico, che considerano l'altro un valore aggiunto a ciò che già da soli sanno raggiungere e realizzare con piena soddisfazione?

Se invece di giudicarli cominciassimo a fare così anche noi?
Saper badare a se stessi ci spinge a portare l'altro nel positivo della nostra vita, ad aprirci al confronto con una persona a cui chiediamo un parere, un'alternativa che da soli non vedremmo. Ci rifacciamo a lei per stima, non per compensazione. È allora che il silenzio non è un vuoto, ma uno spazio come un altro in cui può attecchire anche il fiore più bello... e forse è da lì che può riprendere il ciclo della vita...

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